Una recente pronuncia giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità delle fideiussioni omnibus stipulate sulla base dello schema generale ABI: le clausole sono state dichiarate nulle per violazione del principio di concorrenza (Corte di Cassazione, sez. I, civ., sentenza 22 maggio 2019, n. 13846).
Come è facile intuire tale pronuncia potrebbe avere risvolti importanti, ma prima di approfondire questa novità giurisprudenziale occorre fare un passo indietro: questa nuova pronuncia si colloca temporalmente a circa un anno e mezzo da quando la Prima Sezione della Corte di Cassazione con ordinanza n. 29810 stabiliva già la nullità delle fideiussioni omnibus bancarie predisposte sullo schema ABI.
Il principio che veniva già annunciato con la sentenza n. 29810 era un principio di diritto per cui veniva comminata la sanzione della nullità del testo in ragione della violazione dell’articolo 2, comma 2, lettera A della L. n. 287 del 1990, la così detta Legge Antitrust.
Tale legge sullo specifico sancisce quanto segue: ” Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;”
Sulla base di tale principio, in sostanza, la Corte rifiutò questa sorta di convergenza data proprio dall’uniformità dei testi predisposti a monte dall’ABI ed utilizzati, senza variazione alcuna, da tutte le banche. La Legge Antitrust, sempre secondo la Corte, detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari tutti gli operatori del mercato, ovvero chiunque abbia interesse alla conservazione del carattere competitivo dello stesso e proprio tale interesse viene leso ogni qualvolta che per effetto di un’intesa vietata, in quanto restrittiva della concorrenza, venga eluso il diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza.
la Suprema Corte è tornata nuovamente a pronunciarsi sulla questione con la sentenza 22 maggio 2019, n. 13846, approfondendo ulteriormente l’argomento.
Così recita il testo della sentenza: “In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 L. n. 287/1990, con particolare riguardo a clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento adottato dalla Banca d’Italia prima della modifica di cui all’art. 19, comma 11, I. n. 262/2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante per la Concorrenza, una elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione, o non attuazione, della prescrizione contenuta nel provvedimento amministrativo con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario”.
In particolare la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 13846/19 ha precisato innanzitutto che il giudice di merito, nell’ambito dell’accertamento della sussistenza di un’intesa anticoncorrenziale ai sensi della richiamata normativa antitrust, non può negare detta intesa soltanto sulla base della mancata presenza di diffide o sanzioni (su tale argomentazione si erano infatti basate le poche sentenze di merito successive alla prima pronuncia di nullità del 2017 da parte dei Giudici di Cassazione); ciò che assume rilievo ai fini dell’accertamento della violazione della normativa antitrust, “è che i fatti accertati e le prove acquisite nel corso del procedimento amministrativo non siano più controvertibili, né utilizzabili a fini e con un senso diverso da quello attribuito nel provvedimento stesso”.
La Cassazione, invero, stabilisce che “quel che rileva è, dunque, l’accertamento dell’intesa restrittiva da parte della Banca d’Italia: non il fatto che, in dipendenza di tale accertamento, siano state pronunciate diffide o sanzioni”.
La nullità delle fideiussioni fa quindi venire meno la validità e l’efficacia delle stesse e pertanto i fideiussori che hanno sottoscritto un contratto con clausole coincidenti con quelle dello schema ABI non possono quindi rispondere dei debiti del debitore garantito personalmente.